fondazione zeri

di Giulia Alberti

Un caso napoletano: L. Desio, dilettante erudito

Uno dei pregi del nucleo di fotografie di trompe-l’œil raccolto da Zeri è certamente quello di poter seguire e intrecciare percorsi di ricerca diversi, dall’indagine iconografica, alla storia collezionistica, al reperimento e all’attribuzione di dipinti inediti.

Esemplare, a conferma dell’importanza del fondo, è il caso di un piccolo corpus di opere che riteniamo appartenere a un’unica mano.

Il gruppo è costruito a partire da una coppia di trompe-l’œil segnalati da Zeri nel 1976 sul mercato antiquario a Bergamo con un’attribuzione al pittore napoletano Francesco Solimena (1657-1747), e transitati in seguito presso Ettore Viancini a Venezia (figg. 1-2)[1]. Il sonetto a stampa, in foglio sciolto, dedicato Al famosissimo pittore signor Francesco Solimena. Per la morte del suo signor stimato Nipote, raffigurato in uno dei due dipinti, sul quale torneremo in seguito, è con tutta probabilità alla base della loro circolazione sul mercato come opere del pittore napoletano[2]. Quello che raffigura un Trompe-l’œil con dipinti, stampe e strumenti per gli artisti risulta tuttavia inequivocabilmente firmato «L. Desio F.» (fig. 3). Tale firma, posta in calce alla stampa di paesaggio tratta dal repertorio dell’incisore francese Gabriel Perelle (1604-1677)[3], non era però sfuggita allo studioso che infatti ne segnala la presenza sul verso di un’altra fotografia della stessa opera[4].

A questa stessa serie doveva appartenere anche un Trompe-l’œil con stampe e una medaglia dell’Ordine di san Gennaro, passato nel 1998 in un’asta Semenzato, sempre come opera di Francesco Solimena (fig. 4)[5]. Non documentato nella fototeca di Zeri, esso costituisce però un interessante post quem. Infatti, accanto a sonetti In onore del glorioso S. Gennaro o Per l’insigne Real Ordine del glorioso martire S. Gennaro, la raffigurazione della banda moiré rossa con la croce distintiva dei suoi membri[6] ci consente di datare il dipinto in un momento successivo alla fondazione dell’Ordine nel 1738[7].


"Nulla ci è dato sapere del presunto autore di questi trompe-l’œil se non che dovette essere uno specialista in questa tipologia di opere e anche un artista di buona cultura letteraria, probabilmente appassionato di musica"


Nulla ci è dato sapere del presunto autore di questi trompe-l’œil, L. Desio, se non ciò che egli stesso lascia scorgere attraverso i dipinti che oggi gli possiamo attribuire. E cioè che dovette essere uno specialista in questa tipologia di opere e anche un artista di buona cultura letteraria, probabilmente appassionato di musica. Di lui si conosce, infatti, un altro trompe-l’œil sempre firmato «L. Desio F.», passato insieme al suo pendant in un’asta Finarte a Roma nel 1991 (figg. 5-6)[8].

Il catalogo della vendita, a una prima lettura, sembra risolvere l’enigma del riconoscimento dell’identità del pittore. La firma è stata infatti sciolta in quella di Luigi Desio, un artista segnalato come attivo in Italia settentrionale verso la metà del XVIII secolo[9]. Dalle ricerche finora intraprese, l’esistenza di un pittore con questo nome non trova alcuna corrispondenza storica[10]. Inoltre, anche la sua presunta attività in Italia settentrionale ci sembra vada rivista a favore di una sua provenienza napoletana, sulla base di evidenze stilistiche e di un repertorio figurativo molto connotati.

Soffermandoci con più attenzione sugli elementi della composizione emergono infatti alcune considerazioni. In particolare, la presenza in questi dipinti di fogli sciolti a stampa con sonetti e madrigali, la cui produzione, fiorita nell’ambito delle accademie sei-settecentesche e strettamente legata a occasioni particolari (epicedi, epitalami...), li qualifica come effimera[11], ci portano a sostenere una provenienza napoletana dell’artista, piuttosto che dall’Italia settentrionale come attestata dal catalogo Finarte.

Prendendo in esame il già citato trompe-l’œil firmato «L. Desio F.» segnalato sul mercato antiquario a Bergamo come opera del Solimena (fig. 1), abbiamo accennato al fatto che tale attribuzione potesse trovare una giustificazione nel sonetto a lui dedicato raffigurato nel dipinto.

Nel quadro che rappresenta gli strumenti dell’artista (tavolozza, pennelli, spatola, una tela forata…) appoggiati a terra con delle incisioni da Perelle e due telai che tengono fermi uno spartito, una tavola geometrica e un disegno, si riconoscono, oltre al foglio con il componimento dedicato al Solimena, anche due carte con sonetti rivolti ad altri due artisti documentati a Napoli tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo: il primo, In lode del Signor Guglielmo Borremanz Famoso Pittore Fiammengo, il secondo indirizzato Al Signor P. Paolo de Mattei[12]. Si tratta di componimenti, come anche il sonetto in lode di Francesco Solimena, scritti da Giuseppe d’Alessandro (1656-1715), duca di Pescolanciano, nobile noto e ben inserito negli ambienti culturali napoletani, letterato di una certa fama e, soprattutto, uno dei più importanti collezionisti del Viceregno, protettore e mecenate di Guglielmo Borremans (1672-1744) durante la sua permanenza nella città partenopea[13. I componimenti in lode dei tre pittori fanno parte della sua Selva poetica, una raccolta di rime pubblicata nel 1713 in cui, accanto a versi dedicati a personaggi a lui vicini, trovano spazio rime dai toni pungenti, pessimisti e critici nei confronti della società contemporanea, della «nobil gioventù» che «non si diverte in nobili esercizi e nelle scienze» come nel secolo precedente[14].

Alla stessa raccolta poetica fanno riferimento anche i fogli sciolti raffigurati nel secondo trompe-l’œil noto firmato «L. Desio F.», passato in asta Finarte nel 1991 (fig. 5). Si tratta del madrigale Allo schioppo e dei sonetti dedicati Al signor D. Nicolò Macedonio, nobile napoletano, e Alla Rosa[15]. Quest’ultimo componimento risulta di particolare interesse dal momento che la versione dipinta contiene una variante della seconda quartina che non corrisponde a quella presente nell’unica edizione a stampa della Selva poetica.

Nel secondo trompe-l’œil già sul mercato bergamasco, che raffigura un angolo dello studio dell’artista con affisse alle pareti alcune incisioni, delle carte con epigrafi in latino e una tavola geometrica (fig. 2), seminascosti tra gli elementi che compongono il dipinto troviamo altri riferimenti stilistici e letterari che possono giustificare la provenienza napoletana dell’artista. Sul tavolo addossato al muro, infatti, il fiasco e il bicchiere di vino in primo piano non ci sembrano molto distanti da quelli del pittore napoletano Giacomo Nani (1698-1755) (fig. 7). Essi tengono inoltre precariamente ferma la stampa di un sonetto. Dall’incipit «Su i monti di Cibele il miser Ati» possiamo risalire a una versione a stampa del componimento contenuta nella Traduzione di Anacreonte poeta greco in verso toscano di Bartolomeo Corsini (1606-1673)[16]. Nobile fiorentino, originario di Barberino del Mugello, fu autore di un poema eroicomico, il Torracchione desolato, rimasto inedito fino al 1768, e si impegnò anche in traduzioni di opere letterarie greche. La più importante è appunto quella di Anacreonte, l’unica che lo scrittore riuscì a vedere pubblicata, a Parigi nel 1672, e che fu poi ristampata proprio a Napoli nel 1700[17].

Se per la pittura di trompe-l’œil è vero che dediche, stampe, biglietti manoscritti sono spesso i luoghi deputati a celare la firma dell’artista, va notato che non sempre i nomi citati attestano la reale paternità dell’opera, ma frequentemente rappresentano piuttosto i committenti o i destinatari dei dipinti.

Nei casi finora presi in considerazione ci sembra che la citazione puntuale di sonetti dedicati a tre celebri artisti napoletani, il componimento in lode di un membro di una delle nobili famiglie della città, confluiti nella raccolta poetica di un letterato come Giuseppe d’Alessandro, noto quasi esclusivamente in ambito partenopeo, nonché la raffigurazione di oggetti connessi all’Ordine cavalleresco di san Gennaro nel trompe-l’œil dell’asta Semenzato del 1998, costituiscano dei validi indizi per sostenere la provenienza dell’autore dei dipinti dallo stesso ambiente culturale.


"Composizioni simili ma sapientemente variate, costruite con gli stessi tipi di oggetti, caratterizzano questi dipinti"


I trompe-l’œil passati sul mercato antiquario a Bergamo, a cui si uniscono quello dell’asta Semenzato del 1998 e quelli venduti da Finarte nel 1991, costituiscono dunque il gruppo da cui partire per ricostruire il corpus di dipinti di L. Desio.

In attesa di ulteriori studi che facciano luce sull’identità e l’attività di questo pittore ci sembra di poter ricondurre alla sua mano, su base stilistica, altri otto dipinti documentati nelle fotografie di trompe-l’œil della Fototeca Zeri.

Si tratta di un pendant con stampe appese a una parete, venduto a Firenze da Sotheby’s nel 1987 con una generica attribuzione alla scuola italiana del XVIII secolo[18] (figg. 8-9), a cui si aggiungono le immagini di quattro trompe-l’œil, di cui si ignora l’attuale ubicazione, già classificati come opere di un anonimo artista del XVIII secolo (figg. 10-13)[19]. A queste possiamo infine avvicinare in via ipotetica anche una coppia di dipinti passati sul mercato a Milano nel 1988 come opere del toscano Antonio Cioci, di cui Zeri conservava le fotografie nel fascicolo dedicato all’artista nel nucleo di Natura morta (figg. 14-15)[20].

Composizioni simili ma sapientemente variate, costruite con gli stessi tipi di oggetti, caratterizzano questi dipinti. Ad esclusione dei due trompe-l’œil passati in asta Sotheby’s, che propongono la diffusa tipologia della finta parete con stampe e fogli appesi, l’impostazione spaziale qualifica gli altri dipinti come ʻangoli di studioʼ, nei quali l’artista concentra lo sguardo sul proprio atelier, dipingendone appunto degli scorci. Gli strumenti del mestiere, i fogli volanti a stampa, le epigrafi in latino e greco e, ancora, i disegni, le incisioni di paesaggio di Perelle, le tavole geometriche e gli strumenti musicali sono disposti confusamente – a simulare un disordine solo apparentemente casuale, ingegnosamente architettato dall’artista per fingerne la tridimensionalità – ora su un tavolo, con un modello dell’Ercole Farnese, ora su una mensola o sugli scaffali di una libreria, ora semplicemente appoggiati a terra. Il punto di osservazione è ravvicinato, quasi una zoomata che lascia lo sfondo indefinito e porta in primo piano gli elementi della composizione che sembrano così sporgere dal perimetro del quadro, producendo nell’osservatore la percezione di trovarsi di fronte a degli oggetti reali.

Ciò che però qualifica maggiormente questi dipinti è il caratteristico modo di delineare le ombreggiature: nette, nitide, esse rivelano l’incidenza della luce sempre proveniente da sinistra, come se gli oggetti raffigurati fossero visti attraverso una grata, o una finestra. Esattamente come accade in un dipinto attribuito al fiorentino Stefano Mulinari conservato nel Musée des Beaux-Arts di Dole, che a noi sembra però in assoluta continuità stilistica con il gruppo di opere qui analizzato[21].

Anche per queste tele, un’indagine più approfondita condotta sugli elementi iconografici consente di portare l’attenzione su alcuni particolari interessanti.

Nel trompe-l’œil che raffigura un’arpa con carte e uno spartito appoggiati alla rinfusa su un pavimento che ricorda quello del dipinto firmato passato sul mercato antiquario a Bergamo, sono riconoscibili due madrigali, Donna vana e Cantatrice lasciva, e un sonetto intitolato Il festino della miseria (fig. 10). Si tratta di fogli a stampa che riproducono componimenti contenuti ne La bottega de’ chiribizzi, una raccolta poetica scritta da un nobile milanese, Cesare Giudici (1634-1724), di cui non si trova traccia nelle storie letterarie ma che dovette avere una certa circolazione anche in area napoletana[22].

Nello stesso dipinto è inoltre raffigurato uno spartito in cui è riconoscibile l’aria di una cantata, intitolata Ove al Sebeto in riva smaltata, del celebre musicista e compositore napoletano Alessandro Scarlatti (1660-1725)[23].

Fogli sciolti a stampa con versi poetici che trovano ancora una volta corrispondenza nella raccolta di Cesare Giudici sono tenuti precariamente appesi con delle mollette a un portalettere nel trompe-l’œil che raffigura un angolo dello studio dell’artista con una mensola su cui sono disordinatamente appoggiati anche alcuni libri e una tavola geometrica (fig. 11)[24]. Si tratta, tra l’altro, dello stesso portalettere e delle stesse mollette che compaiono nel dipinto che rappresenta probabilmente sempre l’atelier del pittore con lo scorcio di una libreria (fig. 12), in uno dei due trompe-l’œil venduti da Finarte nel 1991 (fig. 6), nella Natura morta del Museo di Dole e, infine, in uno dei due dipinti passati in asta Sotheby’s nel 1987 (fig. 8).

Il secondo trompe-l’œil venduto da Sotheby’s che raffigura una stampa al centro firmata «Perelle F.» ci consente poi di avvalorare non solo la provenienza napoletana dell’artista, ma anche di trovare un ulteriore appiglio cronologico per la sua attività. Sulla ricevuta del gioco del lotto raffigurata a sinistra è infatti presente la data «MDCCLV Nap. Giugno» (fig. 9). Infine, l’iscrizione «Perelle F.», che identifica l’autore dell’incisione, conferma che la firma «L. Desio F.» debba essere riferita all’autore dei trompe-l’œil.


"Il riconoscimento di questa personalità artistica induce ad approfondire le ricerche su quali siano stati i percorsi per una fioritura del trompe-l’œil a Napoli e nel sud della penisola"


Se dunque l’identità storica di questo pittore resta ancora da identificare, quello che ci sembra di poter affermare con certezza è la sua provenienza dall’ambiente culturale napoletano, non lontano, forse, dai salotti e dalle società accademiche frequentate anche dal Solimena, a cui sembrano rimandare i componimenti in fogli sciolti raffigurati nei suoi trompe-l’œil.

L’origine partenopea dell’artista suscita inoltre qualche riflessione in merito alla diffusione della pittura di trompe-l’œil anche in Italia meridionale. Se infatti gli studi hanno finora preso maggiormente in considerazione la circolazione che questo genere dovette avere in Italia settentrionale a partire dalla fine del Seicento, il riconoscimento di questa personalità artistica induce ad approfondire le ricerche su quali siano stati i percorsi per una fioritura del trompe-l’œil a Napoli e nel sud della penisola.

A fronte di un ruolo di primissimo piano della città partenopea nella produzione di nature morte, sostenuta dal vivace e attento collezionismo dell’aristocrazia locale e della nuova borghesia mercantile in ascesa all’inizio del Seicento, la mancanza di studi specifici sui dipinti di trompe-l’œil è in parte giustificata dal silenzio delle fonti che raramente distinguono tra gli specialisti nel raffigurare «finti assi» e i pittori di soggetti inanimati[25].

All’ambiente culturale napoletano possiamo riferire altri due trompe-l’œil già in collezione Vittorio Cini a Venezia, documentati nella fototeca di Zeri. I dipinti raffigurano due tavoli finemente intarsiati, sui quali sono appoggiati alcuni disegni (uno dell’Ercole Farnese), stampe, tra cui una dell’incisore napoletano Paolo Petrini (notizie 1693-1710)[26], una carta geografica, uno spartito musicale e alcune ricevute (figg. 16-17). L’identità dell’artista resta ignota, ma la sua provenienza napoletana ci sembra confermata dal caratteristico modo di delineare le luci e le ombre, e dalla ricorrenza del nome della città partenopea in un foglio devozionale a stampa datato «In Napoli 1741» e in una ricevuta del gioco del lotto «MDCCXXXXVIII Nap. Agosto», che costituisce il termine post quem per la datazione dei dipinti27].

Alla stessa serie appartiene infine anche il trompe-l’œil con una stampa del cantante Carlo Broschi detto Farinelli (1705-1782), uno spartito musicale, fogli e carte da gioco, in collezione Cei a Firenze, presentato per la prima volta in occasione della mostra tenutasi a Palazzo Strozzi nel 2009[28].

 


Note


  • [1] Il passaggio presso Viancini si deduce dalla presenza del timbro a inchiostro «Ettore Viancini» sul verso delle fotografie invv. 176038 e 176039 e sulla fotocopia della fotografia schedata tra i materiali allegati della fototeca (coll. NT 07/2/57).
  • [2] Il componimento fa riferimento alla morte di un nipote del Solimena, Orazio, prematuramente scomparso nel 1713. Del triste episodio riferisce Bernardo De Dominici, che ricorda un sonetto inviato dal pittore il 28 aprile (probabilmente del 1713) alla nobildonna Aurora Sanseverino, nel quale «l’alta mia fera sventura» sarebbe un’allusione alla dolorosa perdita (De Dominici [1742-1745] 1840-1846, vol. 4, pp. 469-470, Bologna 1958, p. 190). Come precisa Mario Alberto Pavone la citazione del De Dominici conferma che il defunto nipote Orazio, «che sarebbe riuscito un grand’uomo scientifico nelle lettere», non deve essere identificato con l’altro nipote omonimo, divenuto pittore come il celebre zio (Pavone 1980, pp. 80-81).
  • [3] La stampa ricorda i paesaggi fluviali (Quattro Stagioni) incisi dall’artista tra il 1650 e il 1677. Si vedano ad esempio gli esemplari conservati al British Museum di Londra (invv. 1997,0928.14.1; 1997,0928.14.2; 1997,0928.14.3; 1997.0928.14.4). La firma posta in calce a un’incisione era uno degli escamotages più utilizzati dai pittori di trompe-l’œil per contrassegnare le proprie opere. Un caso analogo è ad esempio quello di Carlo Leopoldo Sferini, che nel Trompe-l’œil con dipinto, stampe e spartiti passato in asta Christie’s nel 2007 pone la sua firma alla base di un’incisione di Giulio Carpioni (cap. 2, fig. 26; si veda anche E.A. Safarik, F. Bottari, in Porzio 1989, vol. 1, p. 374).
  • [4] Fototeca Zeri, inv. 176038. Sul verso della fotografia Zeri annotava infatti a matita: «firmato L. Desio».
  • [5] Semenzato 16 maggio 1998, n. 246. Anche le misure di questo dipinto (cm 75x102) coincidono quasi perfettamente con quelle degli altri due della stessa serie (cm 77x103).
  • [6] P. Giusti, in San Gennaro 1997, pp. 190-195.
  • [7] L’Insigne e Reale Ordine di san Gennaro è un ordine cavalleresco dinastico del Regno delle Due Sicilie, fondato nel 1738 da Carlo di Borbone, re di Napoli e Sicilia tra il 1734 e il 1759. Si vedano Leone De Castris 1997, pp. 81-86, e in particolare L’Insigne Real Ordine 1963, pp. 5-16.
  • [8] Finarte 19 novembre 1991, n. 127. Di questi due dipinti Zeri non possedeva alcuna documentazione fotografica.
  • [9] Finarte 19 novembre 1991, n. 127.
  • [10] La sola attestazione del nome Luigi Desio sembra infatti ricorrere nel catalogo della vendita Finarte del 1991. Dalle ricerche finora effettuate non è stato possibile stabilire da dove sia stato ricavato nel catalogo dell’asta il nome del pittore, non presente nei più noti repertori biografici. Resta il dubbio che il nome per esteso dell’artista fosse riportato da qualche parte sui dipinti o in una qualche documentazione allegata non menzionata nel catalogo. Non conoscendo l’attuale ubicazione delle opere ogni ipotesi resta al momento aperta.
  • [11] Si tratta cioè di materiali prodotti per una fruizione occasionale, destinati alla dispersione, raramente migrati in volumi a stampa. Celebre in questo senso è la pubblicazione, a partire dal 1677, della Biblioteca volante di Giovanni Cinelli Calvoli (1625-1706), poi ristampata in quattro volumi nel 1734-1747 da Apostolo Zeno (1668-1750) e Angelo Calogerà (1696-1766).
  • [12] Gugliemo Borremans (1672-1744), pittore fiammingo originario di Anversa, è documentato a Napoli tra il 1707 e il 1715 e successivamente in Sicilia (Siracusano 1990). Paolo De Matteis (1662-1728), allievo di Luca Giordano (1634-1705), fu a Roma, iscritto all’Accademia di San Luca, poi di nuovo a Napoli, dove all’inizio del Settecento è influenzato dallo stile di Francesco Solimena (Spinosa 1986, vol. 1, p. 92, Santucci 1990). A Paolo De Matteis erano stati inoltre dedicati i Ragionamenti di Domenico Andrea De Milo, pubblicati a Napoli nel 1721, un volumetto che già nel 1896 ci si raccomandava di tenere in considerazione per i futuri studi sull’artista (Notizie 1896).
  • [13] Giuseppe d’Alessandro era membro dell’Accademia degli Oziosi, legato ad esempio al nobile Carlo Carafa, duca di Maddaloni, e alla marchesa Aurora Sanseverino, il cui salotto era frequentato anche da Francesco Solimena (Acanfora 2012, p. 42). Epigono del marinismo, è autore della Pietra paragone de’ cavalieri, pubblicato nel 1711, un componimento scientifico-letterario noto anche come Arte del Cavalcare, in cui sonetti dedicati all’arte equestre si affiancano a versi amorosi, grotteschi e satirici, in linea con le tematiche consuete della poetica barocca. A questo si aggiungono nel 1713 la Selva poetica e l’anno successivo l’Arpa morale, un volume di sentenze moraleggianti parafrasate in versi (Camporesi 1952, Vigilante 1985, D’Alessandro 2012, p. 47). Lo stretto legame che intercorse tra Borremans e Giuseppe d’Alessandro è stato approfondito recentemente da Elisa Acanfora. La studiosa ha rintracciato le opere dell’artista dipinte per il duca, suo mecenate, individuando anche i bozzetti e le incisioni realizzate a corredo della prima edizione del 1711, e della ristampa del 1723, della Pietra paragone de’ cavalieri (Acanfora 2012).
  • [14] D’Alessandro 1713, pp. 192, 320, 337. Nella sua aspra critica nei confronti delle futili abitudini della nobiltà del Settecento si prefigurano alcune sequenze del Giorno di Giuseppe Parini (1729-1799). Si vedano Camporesi 1952, Vigilante 1985 e D’Alessandro 2012, p. 48.
  • [15] D’Alessandro 1713, pp. 158, 210, 247. Per il madrigale Allo schioppo si veda anche Camporesi 1952. In alto nel quadro è inoltre visibile un foglio strappato. Dalle parole leggibili, «[...]tto | […] Cavaliere | […] Marino», doveva certo trattarsi di un componimento dedicato al celebre poeta napoletano Giambattista Marino (1569-1625).
  • [16] Corsini 1700, p. 15.
  • [17] Capucci 1983.
  • [18] Sotheby’s 23 settembre 1987, n. 795.
  • [19] Le fotografie di questi dipinti conservate nella fototeca di Zeri non presentano sui versi alcuna indicazione che consenta di risalire all’attribuzione e all’attuale localizzazione delle opere. Per questo in fase di catalogazione sono stati assegnati a un anonimo pittore del XVIII secolo e segnalati in ʻubicazione sconosciutaʼ.
  • [20] Finarte 14 giugno 1988, n. 83.
  • [21] Il dipinto faceva parte della collezione del magistrato e pittore Eugène Chalon (1829-1911), acquisita dal museo di Dole nel 1911 (inv. CH 514). L’attribuzione a Stefano Mulinari, ricordato dalle fonti solo per la sua attività di incisore, viene proposta in Faré, Chevé 1997a, p. 188. Di questo dipinto dovrebbe esistere un pendant che, come riferisce il vicedirettore Samuel Monier, non fa parte delle collezioni del museo (comunicazione scritta del 22 gennaio 2015) e del quale non sono state trovate ulteriori notizie.
  • [22] Giudici 1714, pp. 101, 195, 196. Alcune notizie sulle opere e sulle vicende biografiche di questo nobile milanese, laureato in legge ma dedito alle lettere, sono contenute in Passano 1868, pp. 49-50. De La bottega de’ chiribizzi sono note nove edizioni a stampa. L’editio princeps, intitolata La bottega de’ chiribizzi del dottor Cesare Giudici. Dedicata all’illustrissimo sig. dottore auuocato Matteo Abbiate Forieri, fu pubblicata a Milano nel 1685. La seconda, dedicata «a sua eccellenza il N.H.s. Federico Antonio Priuli», fu invece stampata a Venezia nel 1714. Le edizioni successive uscirono a Venezia (1729, 1738, 1747, 1761), Torino (1795) e Milano (1733). In quest’ultima città, tra il 1810 e il 1820, fu stampata l’ultima edizione nota, in due volumi. Benché non si conosca nessun esemplare pubblicato a Napoli, è verosimile che il volume abbia avuto una circolazione anche in area partenopea. Esso è infatti indicato, in date più avanzate, nel catalogo di libri rari in vendita presso la libreria di Giuseppe Dura a Napoli nel 1861 (Catalogo di libri antichi 1861, p. 328).
  • [23] Di questa cantata si conoscono almeno due partiture conservate nella Biblioteca del Conservatorio Statale di Musica San Pietro a Majella di Napoli. Una è contenuta in un volume che raccoglie 24 Cantate di Alessandro Scarlatti (Manoscritti musicali, 33.3.10), l’altra in una miscellanea di Composizioni vocali profane (Manoscritti musicali, 34.5.7). I musicologi Angela Venturino e Francesco Paolo Panni confermano che in questa seconda partitura la tonalità in si bemolle maggiore dell’aria corrisponde a quella raffigurata nello spartito dipinto.
  • [24] I fogli riproducono i sonetti Il poeta stitico e Il Piccaro smascherato, il madrigale La Brunetta e due componimenti intitolati Medico e Musico goffo (Giudici 1714, pp. 81, 95, 190-191). Si tratta di versi dai toni bizzarri, umoristici e grotteschi, in linea con le tematiche della lirica barocca.
  • [25] Ricostruendo la fortuna critica della pittura di natura morta a Napoli, Nicola Spinosa sottolinea come la fonte più attendibile sia il De Dominici, le cui notizie, per quanto utili nel mettere a fuoco la diffusione di questo genere, si rivelano però imprecise e lacunose. Lo studioso attribuisce il silenzio delle fonti e le sviste del De Dominici alla difficoltà di accedere alle residenze dei nobili collezionisti (Spinosa 1989, pp. 852-853). La definizione di pittori di «finti assi» si trova ad esempio in Giovanni Battista Zaist e Diego Zannandreis in relazione all’attività di Sebastiano Lazzari e Antonio Gianlisi il Giovane (Zaist [1774] 1965, vol. 2, p. 169, Zannandreis [1891] 1971, pp. 422-424).
  • [26] Ad vocem, in Thieme, Becker 1907-1950, vol. 26, p. 501.
  • [27] Nel trompe-l’œil in cui compare l’incisione di Petrini (Fototeca Zeri, inv. 176213) si scorge anche quella che sembra una pagina stampata di un periodico, di cui si riescono a leggere parte dell’intestazione, «Numero 14 Foligno», e alcune righe dello scritto che ci permettono di datare il periodico al 1747 o poco dopo. Nel testo si fa infatti riferimento alla scomparsa dei cardinali Giuseppe Accoramboni (1672-1747), Troiano Acquaviva d’Aragona (1696-1747) e Vincenzo Petra (1662-1747), avvenuta nel marzo del 1747.
  • [28] F. Berti, in Inganni ad arte 2009, p. 190 n. IV.8.

 


Pubblicato in Giulia Alberti, Inganni dipinti. Trompe-l’œil nella Fototeca Zeri, primo numero della collana Nuovi diari di lavoro edito dalla Fondazione Federico Zeri con il contributo di Associazione Antiquari d’Italia,  pp. 103-127